L’uomo e il matrimonio. Le scelte più difficili per il giorno del Sì. Sapete qual è la scelta più difficile per un uomo che vuole dire addio al celibato? Esattamente quella di una donna che si appresta a farlo attendere all’altare. La persona da sposare, chiaro. Ma al netto della “materia prima” (fondamentale), anche per i maschi è l’abito il problema dei problemi. Per quelli come me, invece, il trucco e parrucco si risolve facilmente: rasatura a boccia (causa calvizie incipiente che per me è solo una fortuna avendo sempre avuto i capelli diJimi Hendrix), una bella dormita (dopo un paio di Martini Cock), un’ottima crema idratante e sei a posto! A dire la verità il barbiere c’aveva provato ad affibbiarmi un prodotto coprente alla Berlusconi (una specie di polverina sintetica da fissare con lacca e phon… sigh!) e io sono stato al gioco della prova. Ma solo per cortesia. La testa alla Big Gim almatrimonio no… magari ci penso per il prossimo Halloween, se decido di rimascherarmi da Gomez Addams.
Abito da uomo per matrimonio di sera. Sull’abito in sè ho sempre avuto le idee chiare, escludendo a priori la pompa magna del frac o del tait e le tamarrate da cerimonia alla Coccobelli (nome inventato che ricorda un noto marchio specializzato) che fa tanto “Uomini e donne”. Il mio gusto è sempre stato per il classico tre pezzi all’italiana. Elegante. Punto. Senza fronzoli. Colore? Blu of course! Ed essendo la cerimonia e il ricevimento serali, la scelta è stata obbligata per un black blue.
Avendo il pallino del bespoke, ho cercato una sartoria all’altezza che non mi dissanguasse. Dopo una selezione fatta anche sulla base della disponibilità e dell’attenzione mostratami dagli interlocutori che ho contattato, la mia scelta è caduta su una piccola sartoria a conduzione familiare che vanta una tradizione artigiana dal 1963, la sartoria Tioli di Roma.
La scelta del tessuto è stata divertente. Dopo una sfogliata ai campionari, ho trovato senza grosse difficoltà quello che faceva per me: Loro Piana Winter Tasmanian 150’s da 350 gr/mt.
Il primo numero si riferisce al micronaggio, ossia alla finezza delle fibre usate. Un numero grande significa che la fibra ha uno spessore inferiore e quindi la lana è più sottile e soffice; l’abito risulta così più leggero, flessibile e soffice al tatto. La maggior parte degli abiti prodotti industrialmente sono confezionati con lane super 100, 110, 120 o super 140; numeri superiori vengono usati proprio per la fabbricazione di abiti su misura. Un numero grande significa anche un processo di lavorazione piu’ difficoltoso e delicato e il risultato è un tessuto di maggior pregio. Tanto che sia al tatto che alla vista il risultato è l’effetto seta.
Trovandomi già in sartoria, ho optato per il su misura anche per la camicia. Collo all’italiana e polsino da gemelli, senza dubbi. Come tessuto ho scelto un Popeline, adatto sia all’inverno che alla mezza stagione; compatto ma sottile garantisce alla camicia ineguagliabili morbidezza e comodità, rendendola adatta anche per occasioni formali. Era quello che faceva al caso mio, volendo evitare l’effetto velina di un tessuto liscio.
Il quadro era completo. O quasi. Ma mancava ancora una cosa. La cosa che per me è stata l’impresa più ardua: la scelta della cravatta. Già non è semplice sceglierla per occasioni normali, figuriamoci per il mio matrimonio!
E’ iniziata così la ricerca. Il punto di partenza è stata l’originalità. Non volevo la classica cravatta grigio-argento da cerimonia e neppure una pacchianata. Col blue mi sono convinto che avrei rischiato l’anonimato tra gli ospiti e, in più, un effetto tutt’uno con l’abito (tipo jena). Il rosso ho preferito lasciarlo a Babbo Natale. Perciò dal grigio-argento non potevo proprio deviare.
Tra decine di pezzi, alla fine, dopo quasi due mesi, ho rotto gli indugi. E ho fatto bene perché quella che poi ho acquistato era l’ultimo pezzo rimasto! Tra lo stile british e l’eleganza napoletana, ho trovato un eccellente compromesso scegliendo una fantasia pied de poule su una sette pieghe diMattabisch per Caleffi, storico atelier dell’eleganza capitolina.
Il pied de poule è un tessuto a navetta con effetto di colore. Si ottiene intrecciando (a coppie fra loro) quattro fili di colore diverso con cui si disegna una sorta di scacchiera i cui riquadri ricordano le impronte lasciate dalla zampa della gallina. Questa è proprio la traduzione dal termine francese, mentre in inglese vuol dire dente di cane o dente di cucciolo. La versione british è in scala più ridotta (quella scelta da me), ma l’origine di questo tessuto non è né francese né inglese bensì scozzese.Insomma, un mix, come piace a me!
La cravatta “sette pieghe”, detta anche “in tutta seta ripiegata”, è un accessorio di grande ricercatezza, simbolo dell’eleganza partenopea. Se vogliamo dal sapore anchevintage. Molto in voga negli anni Venti e Trenta, questa cravatta è nata senza triplure (o “anima”). Il suo elemento di sostegno è costituito esclusivamente dalla pezza di seta medesima, con bordi ripiegati sette volte (quattro su di un lato, tre sull’altro) prima di essere cuciti. La consistenza è incomparabile così da dare una tenuta e un modo di cadere ineccepibili.
E se è vero che quel giorno gli occhi saranno tutti per la sposa (come è giusto che sia), è anche vero che lo sposo non deve essere solo una comparsa. L’abito non farà il monaco ma fa l’uomo e, come amava ripetere Oscar Wilde, “una cravattabene annodata è il primo passo serio della vita”. Con un mezzo Windsor, ovvio!