Carter Oblio, ovvero Ciro Alberto Cucciniello. Lo Chef ha scelto un anagramma dei suoi nomi per identificare il ristorante; quasi un alter ego, sicuramente un progetto identitario che rispecchia una cucina dallo stile molto personale, autentico. Può piacere o non piacere, non è questo il punto, sempre molto soggettivo, ma è la schiettezza e la coerenza a colpire nei piatti proposti.
Il fuoco con le sue diverse modulazioni è il grande protagonista. I piatti in menù possono infatti essere riletti e ripensati attraverso il gioco di fiamma che ha contribuito a crearli; un menù senza etichette, lontano da una ricercatezza stereotipata, dove la parola d’ordine e spontaneità. Il locale, di converso, è esso stesso un “piatto”: materico ed essenziale, dove potersi concentrare sull’esperienza degustativa.
Ogni preparazione è artigianale, sin dal tagliere dei pani, una selezione di impasti con lievito madre che spaziano dalle miscele con cacao amaro e noci e quelle con farina affumicata, accompagnata con burro e olio irpino di Ravece, terra nativa dello Chef.
Tra gli antipasti, si parte con “Carote, Carote, Carote” (in alto a sinistra nella foto) dove l’ortaggio è declinato in diverse consistenze su una base di vellutata, in cui i gusti dolce e amaro si bilanciano amabilmente. Foglie di nasturzio come ninfee, radici di scorzonera come tronchetti, cavolo nero come alghe, grano saraceno come ghiaia, olio affumicato a dare del torbido per “L’Anatra e lo Stagno” (in alto a destra); un piatto che ricorda il Ramen, dove il petto d’anatra è appena scottato e la cui cottura viene completata dal dashi bollente.
Con la stagione fredda, Cucciniello dà spazio anche ai fondi cottura, che intensificano e concentrano i sapori e l’identità di ogni piatto attraverso i suoi ingredienti protagonisti. E’ il caso del fondo di radici, che amplifica e rilancia il dolceamaro boschivo delle “Caramelle di Scorzonera, Aglio nero e Tartufo” (in basso a sinistra). Oltre al fuoco, a caratterizzare la cucina di Carter Oblio sono anche fermentazioni e affumicature, come nel bufalo che, ingrassato con il burro di bufala e le alici, viene bruciato nello stesso fieno in cui era stato precedentemente frollato in modo da sottolinearne tutte le essenze bucoliche (in basso a destra).
I fondi caratterizzano pure i dolci, come quello di carrube che completa il “Craquelin di Caldarrose” con coulis di Cachi e chantilly alla Fava Tonka. Anche se la vera sorpresa è l’esplosione di sapore della “Creme Brulèe di cavolfiore e noci”. “Non avendo in cucina un Pastry Chef – spiega Cucciniello – cerchiamo di giocare col salato anche nei dolci”. In sala Joana Razmyte accompagna l’ospite nell’esperienza Carter Oblio con una carta dei vini improntata anch’essa sull’artigianalità, tanto da essere ispirata da un nome d’eccezione come Luigi Tecce.
Cucciniello ammicca alla tradizione, evoca luoghi lontani e riesce a volgere su preparazioni strutturate e sofisticate senza appesantire le portate. “Una cucina del “così è se vi pare”, è l’analogia pirandelliana di Dea Cucciniello – sorella dello Chef e socia ristoratrice – “che rifugge binari, previsioni e giudizi. Fatta di estro, gioco, sapori, flussi, godibilità”.