Tradizione giapponese in un ambiente raffinato e dal servizio impeccabile. E’ ciò a cui ha dato vita Sabrina Bai con Kohaku, a pochi passi da via Veneto. Un locale dove l’omotenashi (l’arte dell’ospitalità giapponese) è alla sua massima espressione in sala così come materie prime d’eccellenza lo sono nelle portate con il kaiseki. Ma cosa significa Kohaku? In giapponese vuol dire ambra. “L’ambra è una pietra dalla “perfetta imperfezione”, criterio che sta alla base del canone estetico giapponese e che si è sviluppato unitamente alla cucina kaiseki nel XII secolo”, racconta Sabrina Bai.
Con Kohaku si entra in un’esperienza gastronomica autentica vocata all’alta cucina giapponese unita a un ambiente raffinato. All’ospite è data la scelta dell’esperienza da vivere: quella più immersiva del “Kohaku Sushi Kaiseki” al bancone con lo chef oppure del menu degustazione “Kohaku Kaiseki” da sei o dieci portate al tavolo, in una formula altrettanto autentica che permette di affidarsi allo chef (omakase) come di scegliere alla carta. Nel suo significato ortodosso il termine “kaiseki” indica il pasto che accompagnava la cerimonia del tè – o “Chanoyu” – con piccoli piatti di accompagnamento alla degustazione che rappresenta una rivoluzione nel mondo gastronomico giapponese del XII secolo. Sino ad allora, lo stile principale di quanto si trovava nei banchetti era quello “Honzen”, caratterizzato da molti piatti messi in diversi vassoi, ricchi in offerta, quantità ed elementi decorativi. Il kaiseki stravolge tutto muovendosi secondo tre linee principali: i piatti caldi sono serviti con il massimo rispetto delle temperature; le quantità di cibo sono calibrate per essere la perfetta dose che possa permettere la giusta degustazione senza spreco; infine, l’eliminazione di tutti quegli elementi decorativi che non abbiano una precisa funzione gustativa all’interno della portata. Inoltre nel singolo piatto viene racchiuso l’alternarsi delle stagioni ed è uno dei modi più intensi per celebrare la natura e la connessione con essa. Ecco allora che l’atto del mangiare non serve semplicemente ad appagare un bisogno ma diviene un’esperienza spirituale ed emozionale che porta ad aprire i sensi. Da qui la ragione dei percorsi studiati nell’offerta di Kohaku.
L’esperienza del Kohaku Sushi Kaiseki con lo chef rappresenta la più immersiva ed è possibile solo a cena, così come la Kohaku Kaiseki al tavolo. Ad aprire il rituale di entrambe è un calice di sakè, antichissima bevanda che nasce dalla fermentazione del riso. A scandire il ritmo e l’essenza delle portate sono le cinque tecniche di cucina giapponese: taglio, bollitura, cottura al vapore, frittura e griglia. Nel Kohaku Kaiseki Ostrica, miso e fagiolo aprono, col Sakizuke (il nostro amuse bouche), la danza dello iodio e dell’umami mentre l’Osuimono, una capasanta accompagnata da un tiepido brodo dashi, ristora il palato con il suo tepore. Si prosegue con l’Hassun, una coreografica presentazione composta da tre pietanze fredde, il tofu home made, la melanzana stufata, la medusa marinata e una portata calda, l’ebi yuba, un gambero avvolto nella pelle del latte di soia servito su una salsa ridotta di crostacei. Il sashimi misto, a seconda della disponibilità del giorno, conduce alla pietanza più intensa del percorso, lo Yakimono, composto da anatra al miso e sedano rapa. In questo piatto le tecniche di cottura giapponese sono applicate ai nostri vegetali per onorare quella stagionalità che detta le regole della costruzione del percorso kaiseki. L’anatra marinata nel miso e funghi viene cotta a bassa temperatura per essere finita sulla Robatayaki, una sorta di barbecue che permette la cottura a fuoco diretto. A completare il piatto, esaltando l’intrinseco umami dei prodotti, il sedano rapa, materia prima italiana, lavorata secondo tecniche che la rendono protagonista di un dialogo tra culture diverse.
A seguire c’è l’Agemono, composto da una tempura di mazzancolla, capasanta e verdure prima di passare al Takiawase, una pancia di maiale cotta per sei ore in un brodo di soia e zenzero, la cui carne morbidissima viene servita con verdure stufate, purè di patate e una punta di mostarda. La spinta dei sapori comincia a decrescere, ma non l’intensità dell’umami, nel Su-Zakana, un piatto a base di tofu e ponzu che precede una piccola degustazione di sushi misto. È poi la volta della funzione ristorativa ed equilibrante del Tomewan, una delicata e calda zuppa di miso che precede la dolce chiusura del Mizugashi, una gelatina allo yuzu con acini di uva.
Ma da Kohaku sia a pranzo che a cena è possibile mangiare à la carte e solo a pranzo, per un pasto bilanciato, si può optare per i “Teshoku” o “Lunch set” – a base di riso, carne, pesce o anche in varianti vegetariane -, una proposta che si ispira alla Bento box, l’iconico portapranzo del Sol Levante. Altra specialità disponibile a pranzo è il Ramen. Tutti percorsi che rappresentano un’esperienza culturale ancor prima che gastronomica.