Più che “povero” il suo è un pesce sostenibile. “Preferisco comprare quello che arriva dalle piccole imbarcazioni piuttosto che dai grandi pescherecci”, mi spiega Federico Delmonte quando arrivo al suo nuovo “Acciuga”, al Della Vittoria. E non solo per una questione di prezzo. “Tra qualche anno saremo 12 miliardi – va avanti – e scegliere un cibo in luogo di un altro significa schierarsi, non essere indifferenti al pianeta su cui viviamo e alle sue risorse, pensare al futuro. Lo sa che l’Italia già a marzo finisce la sua autosufficienza ittica?”. Ironia della sorte, l’incontro con Delmonte avviene proprio alla vigilia del Salone del Gusto di Torino che quest’anno ha come tema #foodforchange (il cibo come motore del cambiamento).
Ecco, allora, che in menù l’alletterato (foto centrale) prende il posto del tonno – quello rosso è in pericolo estinzione da tempo -, le alici, le sarde, lo sgombro e il muggine quello di anguilla, bianchetti, nasello e merluzzo. Scegliere pesci meno conosciuti ma altrettanto saporiti rispetto a quelli la cui pesca mette in pericolo l’ecosistema (oltre a tonno, salmone, dentice, rombo, cernia, sogliola, rana pescatrice), allevia la pressione di pesca sulle specie più ricercate e garantisce il mantenimento della biodiversità dei nostri mari. Per questo i pesci cosiddetti “poveri” sono a basso impatto ambientale.”E’ chiaro che se qualcuno ordina un pesce d’amo, glielo faccio trovare”, mi precisa lo Chef, ma “non sono i miei pesci”. E qui il tema della sostenibilità ambientale si allaccia a quello “identitario”.
“Io vengo da Fano, Adriatico”, mi spega Delmonte, “e nella mia cucina, per il 90% di pesce, facccio quello che so fare, cerco di tirare fuori quello che ho dentro”. Lui, mi confida, le sarde (in basso a sinistra) ha imparato a cucinarle a regola d’arte in una cooperativa di pescatori che le serviva al cartoccio. Oggi Delmonte le cuoce al barbeque e, assicura, non avrebbero lo stesso sapore senza quel procedimento. Quel che colpisce è la fragranza e la leggerezza e nessuna traccia del sapore “forte” tipico rispetto alle alici. Il segreto? Non negli ingredienti – lo Chef utilizza del semplice olio e pan grattato; la differenza, mi spiega, la fa il movimento col quale vengono condite prima della cottura.
Con Acciuga, Delmonte vuole trasmettere la sua idea di cucina: qualità ma nel rispetto delle materie prime, semplicità, trasparenza e stagionalità. Ovviamente non manca la creatività, che lo Chef ha appreso – assieme alla tecnica – tra Londra, Roma e la Romagna (“Zafferano” di Giorgio Locatelli, il “Pagliaccio” di Anthony Genovese e il “Povero Diavolo” di Pier Giorgio Parini, su tutti). “Più che i nomi, però, conta quello che ti lasciano le persone e ciò che vuoi trasmettere”, mi dice.
Il risultato è una cucina dove il pesce è un mezzo più che un fine, come nella “Capasanta, cocco, cipolla e lime” (prima foto in alto a sinistra), piatto, mi spiega lo Chef, che “faccio da otto anni e che parte dalla cipolla e dal suo estratto”; sicuramente nuova e dall’approccio non convenzionale – mai mangiato un’acciuga “marinata” al curry nero (prima foto in alto a destra); nuova e stimolante come per i “murici tartufo nero e pangrattato” (foto centrale in basso) o i “passatelli al sugo di murici” e il “riso al sugo di triglia”.
Oltre alla carta è possibile scegliere tra il menù Acciuga (48€ quattro piatti a scelta tra antipasto, primo, secondo e dolce) o il menù Federico (65€ sette portate scelte dallo Chef); quella dei vini è curata da Luca Boccoli. Le stampe di Giacomo Balla alle pareti lasciano immaginare l’ambizione a voler fare un passo nel futuro della cucina di pesce italiana.
Acciuga, Via Vodice 25 Roma, Tel 063723395 Sito – Pagina Facebook
LA SCHEDA di GUGSTO
cucina: 7
servizio: 7
ambiente: 9
rapporto qualità/prezzo: 9
prezzo medio per antipasto, primo e dolce: 36€ (bevande escluse)